di Alfredo Mazzola
In questo articolo Alfredo Mazzola ci invita a riflettere sulla relazione fra determinati comportamenti dei bambini e la loro necessità di comunicare, fornendo spunti per intercettare correttamente il bisogno, attraverso un lavoro di squadra.
Lettura consigliata a: genitori, educatori, insegnanti
“Quando capitano queste situazioni io non riesco più a fare lezione!”
“Gliel’ho ripetuto 100 volte e lui non lo fa!”
“Una cosa del genere, dopo una vita di lavoro, non era mai successa!”
Durante questi anni ci è capitato spesso di incontrare insegnanti competenti, motivati ed entusiasti del proprio lavoro, ma che spesso si sono trovati ad avere a che fare con quelli che troppe volte vengono etichettati come “Comportamenti Problema”. Per chi, un comportamento, diventa un “problema”? Per il bambino o per l’adulto che si trova a gestirlo?
La verità è che la definizione di comportamento problema la diamo noi adulti. Proviamo invece a guardare la situazione da un altro punto di vista: e se invece di vedere un comportamento “problema” lo identificassimo come un vero e proprio tentativo di comunicare?
Solo riuscendo a definirlo come tale ci si aprirebbe la possibilità di metterci in gioco per avere una via di accesso agevolata verso una comunicazione con il minore che mette in atto questa modalità comportamentale. Secondo la letteratura scientifica di settore, si verifica una significativa diminuzione di questi comportamenti quando si tende ad agire come una squadra: un intervento multifocale che coinvolge sia il bambino che i genitori, insieme ad insegnanti ed educatori con i quali il minore trascorre gran parte della sua giornata.
Per il bambino, l’ambiente scolastico è uno dei più gettonati per manifestare comportamenti disfunzionali, imprevedibili o inadeguati. Russell A. Barkley, lo psicologo statunitense esperto del disordine del deficit di attenzione e iperattività, sostiene che la gravità e la e la persistenza di questi comportamenti risentano notevolmente dell’ambiente circostante: le variabili ambientali diventano infatti complici della percezione del bambino davanti alle difficoltà.
Per favorire la comprensione della natura del comportamento, vi sono una serie di accorgimenti da seguire, sia che si tratti di un minore con spettro autistico, con ADHD o con DOP:
1. fare un’attenta osservazione del contesto l’osservazione è uno strumento fondamentale per capire in quali circostanze si manifesta questo tipo di comportamenti a tal proposito sarebbe necessaria un’osservazione sistematica con regole fissate a priori così da poter produrre una valutazione quantitativa che ci permette di accedere al passaggio successivo
2. attuare un’analisi strutturale A tal proposito Aaron Bailey, Coach ADHD canadese, diplomato presso ADD Coaching Academy (ADDCA) e di cui lui stesso è affetto, ci pone d’innanzi a tre importanti quesiti:
3: utilizzare il Metodo ABC (acronimo di “antecedent, behaviour, consequence”; in italiano: "antecedente, comportamento, conseguenza”)
Teniamo bene a mente che non esistono interventi standard, in grado di essere adatti a qualsiasi situazione, però possiamo mettere in atto delle buone pratiche che possono aiutare nella gestione di questo tipo di comportamenti a livello generale, come ad esempio:
Questo argomento è molto articolato, potrebbe sembrare complesso, ma esistono metodi e conoscenze che abbiamo pensato di condividere con voi insegnanti ed educatori, all’interno di un percorso online dal titolo “Stare bene a scuola”: una masterclass online certificata disponibile QUI, con la professoressa Donatella Fantozzi, docente di pedagogia speciale all’università di Pisa.
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A seguito della masterclass si sono tenuti una serie di incontri online interattivi, partendo dall’analisi dei casi riportati dai partecipanti, per innescare un valido sistema di riflessione e di scambio e migliorare la gestione dei bisogni emergenti dei docenti e dei loro gruppi classe.
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