In questo articolo Laura Madonini introduce il concetto di “empowerment” nel lavoro clinico con adolescenti con esperienze di maltrattamenti gravi e violenze, proponendo la testimonianza di una ragazza di 17 anni con una storia dolorosa, ma resiliente. Il trauma crea una perdita di fiducia, mina alle basi il senso di sicurezza, porta la persona a pensare che non esista un luogo sicuro in cui rifugiarsi. Promuovere l’empowerment diventa quindi un obiettivo fondamentale che accompagna l’intero percorso di cura e di vita…
Lettura consigliata a: operatori sociali, educatori, psicologi, insegnanti.
Alcune esperienze traumatiche possono essere tanto complesse quanto diverse e includono calamità naturali, maltrattamenti fisici e psicologici, abuso sessuale, violenza domestica, abbandoni e trascuratezza, incidenti stradali, trauma migratori, così come essere testimoni di uno di questi eventi.
Favorire l’empowerment personale e sociale promuove l’individuazione di strategie di coping più efficaci e riduce il rischio di sviluppare ulteriori disturbi psicologici, anche in età adulta (Herman, 1992). Per tali ragioni il coinvolgimento degli adolescenti in ogni step del percorso diventa volano per il loro benessere presente e futuro.
Come abbiamo ribadito nell’articolo scritto a 4 mani con il collega Francesco Cavalli “Creare percorsi partecipativi con adolescenti e famiglie in situazioni complesse: e’ davvero possibile?”, l’unicità è la chiave di progettazione, il plurale è la grammatica da utilizzare, posizionarsi potrebbe significare semplicemente imparare ascoltando. Ascoltare e dare voce ai pensieri e alle emozioni dei ragazzi e delle ragazze nella progettazione, nelle scelte, nel monitoraggio e nelle valutazioni in itinere li trasforma da semplici beneficiari in agenti attivi del cambiamento.
Ora, come vi avevo anticipato, lascio la parola a Jasmine, una ragazza di 17 anni che ho incontrato al nostro Centro Come.Te nel 2019; allontanata dalla famiglia per violenze molto gravi, abbandoni, abusi e trauma migratorio, ha partecipato al suo percorso sociale e di cura con grande determinazione e coraggio in ogni momento, anche quando le “ferite” erano dolorose e difficili da rimarginare. Stava molto male inizialmente: autolesionismo, pensieri intrusivi, incubi, disturbi alimentari, agiti di rabbia incontrollati, ma aveva un profondo desiderio di riscatto nella vita.
Dopo due anni e mezzo di psicoterapia, coinvolgendo anche gli adulti di riferimento che si prendevano cura di lei, ha scritto questa lettera indirizzata ad altri adolescenti che avrebbero iniziato un percorso. E’ un regalo prezioso che condivide e dà voce al suo empowerment, emerso e promosso su più fronti.
“In questi anni di lavoro in psicoterapia ho imparato a essere ragionevole, nel senso di ragionare su quello che sta accadendo e non fare le cose di istinto. Ho imparato ad essere attenta verso le persone che mi stanno attorno, cerco di fidarmi in modo ponderato delle persone, di non dare subito piena fiducia. Ho imparato anche a rispettare i miei limiti e a rispettare quelli altrui. Sono diventata molto più coraggiosa di prima e ho imparato a dare coraggio anche agli altri… sono brava a incoraggiare le mie amiche.
Riesco ad esprimere maggiormente ciò che penso, sempre cercando di non ferire l’altro. Ho imparato a fare le cose che mi piacciono, che prima non facevo. A volte sono ferma e seria sulle mie decisioni, come una che ha voce in campo, mentre prima non mi esponevo mai.
Ho imparato a conoscere me stessa e a cercare di dare voce a tutte le parti di me, provando soddisfazione per quello che mi piace e che riesco a fare. Prima avevo paura delle persone esterne e sulla mia testa spuntavano delle antenne che si alzavano ad ogni minima cosa… adesso anche quelle antenne hanno imparato a loro volta a valutare in quali situazioni alzarsi. Soprattutto una cosa ho imparato dal mio passato: avere più consapevolezza di me stessa, senza rimanere nel mondo delle nuvole o essere troppo impulsiva… rimanere con i piedi per terra, insomma.
Ho imparato a non mollare e a non perdere la speranza! Anche se a volte è piccola, bisogna sempre averla. C’è sempre la possibilità che una persona possa migliorare e dare di più.
Il percorso terapeutico è fondamentale perché innanzitutto mi ha dato una mano a conoscere me stessa. Mi ha insegnato a gestire le mie emozioni e le mie parti, tutto quanto. E’ anche molto simpatico… è stato conveniente anche coinvolgere i genitori affidatari e le persone che mi circondano perché aiuta a non toccare tasti troppo sensibili e a capirsi meglio. Tutta questa sicurezza mi è servita molto.
All’inizio del percorso non mi fidavo molto. Dopo un po’ di tempo, però, bisogna provare ad aprirsi perché è uno sforzo che si fa per il proprio bene: per stare bene con se stessi e per adattarsi al mondo.
Ad un ragazzo nuovo direi di stare tranquillo, all’inizio si è sempre un po’ ansiosi o scettici… non stai imboccando un vicolo cieco, ma una strada che si dirama in tante piccole vie, belle o brutte, ma c’è sempre una speranza per il futuro.
Andare avanti, nonostante gli ostacoli!”
Libro: “Guarire dal trauma” - Judith Lewis Herman (1992 - Magi Edizioni, 2005)
Approfondimenti sui temi legati al trauma e alla dissociazione:
AISTED - Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione
Associazione TES – Trauma e Sistemi
EMDR Italia - Eye Movement Desensitization and Reprocessing
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