Di Francesca Tassano
In questa nuova pillola Francesca Tassano semina domande e non ci resta che lasciarci condurre!
Lettura consigliata a: insegnanti, educatori, genitori, cercatori di nuovi sguardi
Di fronte alla vastità degli argomenti che sto mettendo in campo nella rubrica “Rotte Creative” è facile perdersi. I temi interessanti da trattare sono tantissimi e ho pensato di inserire dei “focus” a mesi alterni, dal nome “Le soste”, in modo da lasciare spazio per piccoli approfondimenti sull’articolo del mese precedente.
Per questo, oggi, vorrei focalizzare il mio intervento su un aspetto del “contesto di apprendimento”, tematica introdotta nel mio ultimo articolo “Il territorio in cui ci muoviamo” in cui portavo all’attenzione il fatto che, come genitori, insegnanti o educatori interessati a sostenere il pensiero creativo in figli, figlie, alunni, alunne, sarebbe utile pensare a contesti in cui siano allestiti diversi modi di accesso ai contenuti, predisposte varie possibilità di creare connessioni e possedere, quindi, un significativo connotato di apertura.
Qui, in questo focus/sosta/break, trovano posto delle domande generative su vari aspetti dell’attività che noi operatori possiamo porci, domande che aprono nuovi pensieri, nell’ottica della crescita e inevitabili, a mio parere, quando si tratta di contesto che accoglie la complessità. Ad esempio, spesso, mi trovo a pensare a come tutti tendiamo a portare a termine le attività, a concluderle, a tirare le somme e dare risposte, è importante farlo, e sicuramente va fatto, ma siamo proprio sicuri che ogni cosa sia destinata a una definizione finale e che tutti i disegni si compiano nella loro conclusione?
Nelle proposte, nei progetti che realizziamo con bambine, bambini, ragazze, ragazzi, tendiamo a incasellare definizioni, raccogliere prodotti ultimati, definire consegne… ma quanto spazio lasciamo a tutto il resto? Le cose scartate, quelle non dette, quelle dette in silenzio tra una parola e l’altra che peso hanno?
Nell’intervento di oggi chiedo di avviarci alla riflessione lasciando queste domande aperte. Certo, non sempre le risposte si trovano, ma, a mio parere, ci si può adoperare per cercarle e magari scoprire nuovi percorsi di osservazione personale rispetto al nostro agire peculiare.
Proviamo a cercare risposte a questi interrogativi di fronte alla Pietà Rondanini di Michelangelo, capolavoro non finito che si trova a Milano al Castello Sforzesco; il grande scultore Henry Moore l’ha definita “una delle statue più commoventi ideate e progettate da un solo artista nel passato, straordinaria per drammaticità e spiritualità.” Quest’opera è inconpiuta, non ha una struttura unitaria, presenta degli elementi estremamente levigati contrapposti ad altri appena abbozzati nel marmo; eppure l’insieme trasporta lo spirito, emoziona, racconta qualcosa di ineffabile, si avvertono le forze portanti dell’abbandono e del peso del corpo, si vede la fusione dell’abbraccio materno, trasmette qualcosa che va oltre il razionale, ma avvertiamo che qualcosa c’è, sostiamo ed esploriamo quel qualcosa, cosa ha da dirci?
Forse ho scritto un approfondimento che scompiglia le carte in tavola, in cui i punti di riferimento sono impalpabili e ci si può sentire smarriti: anche questo è un contesto ed è estremamente aperto! Come professionisti abbiamo sicuramente delle pratiche di riferimento consolidate in cui magari questi aspetti sono già contemplati, ogni tanto quindi imboccare un sentiero sconosciuto si può fare, no?
Perdiamoci un po’, dai!
Esercizio: alleniamoci a porci domande divergenti per rinnovare lo sguardo sul nostro lavoro, sulla nostra attività, sulle nostre azioni.
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