In questo articolo Francesco Cavalli condivide modelli di intervento e contesti del ritiro sociale, facendo riferimento sia alle esperienze a livello di rete territoriale che nazionale…
Lettura consigliata a: operatori sociali, educatori
Da giugno 2020, a Officine21, la sede educativa dell’area psicologica minori e famiglie del Mosaico Servizi stiamo sperimentando nuove prassi per persone adolescenti che si trovano in situazioni di alta complessità. Per noi significa cercare di valutare percorsi possibili con adolescenti che manifestano chiusure relazionali importanti come il ritiro sociale, comportamenti a rischio, o una dimensione famigliare espulsiva e maltrattante/violenta ed esordio patologico (autolesionismo, disturbi alimentari, depressioni ecc.).
E così, sul tema del ritiro sociale, proprio dal 2020 facciamo incontrare due equipe in un piano d’azione strutturato che coinvolge l'Area educativa di Officine21 e quella psicologica del Centro Come.Te della Cooperativa.
Sperimentiamo un metodo partecipativo che coinvolge la famiglia - che sia essa di origine, affidataria o di appoggio - e favoriamo lo sviluppo di reti sanitarie e sociali, accogliendo individualmente adolescenti e prendendoci cura di allestire setting protetti che vengono appositamente costruiti seguendo gli importanti criteri di prevedibilità, laboratorialità, gradualità, progettazione e relazione a legame debole. In questo ultimo scenario, si tratta di un modello non intensivo, che prevede poche ore settimanali o un solo momento alla settimana.
Quasi tutte le persone che abbiamo accolto hanno in comune un’estrema povertà relazionale, l’abbandono scolastico, delle esperienze traumatiche vissute in famiglia, percorsi con i servizi sociali difficoltosi, esperienze in comunità e di affidi che si chiudono.
Dopo poco tempo dal primo avvio della sperimentazione, abbiamo avuto bisogno di confrontarci sul modello elaborato con i colleghi fuori dal territorio Lodigiano in cui operiamo, proprio per poterci orientare e farci stimolare da pensieri differenti da quelli inerenti alla nostra esperienza. Abbiamo dapprima cercato nelle zone limitrofe, senza però trovare molto. Successivamente, abbiamo trovato online la call lanciata da "Progetto 9 ¾ - Incontrarsi oltre” della cooperativa torinese Gruppo Abele , in cui veniva proposto un seminario per promuovere uno scambio tra operatori sociali e sanitari che si occupano di ritiro sociale:
“Non può esistere una cura per l’individuo che non passi da una positiva esperienza di comunità. A partire da questa convinzione si è svolto il 5 maggio scorso, un incontro per operatori e operatrici che si occupano di “ritiro sociale” di adolescenti e giovani. Il seminario nasce dall’esigenza di creare uno spazio di confronto e condivisione di esperienze tra diverse figure professionali che si occupano di persone in condizione di ritiro sociale con l’obiettivo di tessere una rete nazionale che possa fornire prospettive di intervento e orizzonti culturali e politici sul fenomeno. All’incontro hanno partecipato enti pubblici e del Terzo Settore, insegnanti e liberi professionisti impegnati nel lavoro con adolescenti e giovani adulti provenienti da Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna e Lazio. Il seminario è stato promosso dalla Fondazione Gruppo Abele che, con il progetto “Nove ¾”, si occupa da tre anni di sostenere famiglie e ragazzi che vivono in condizione di ritiro sociale, attraverso educative territoriali e domiciliari, attività laboratoriali e supporto allo studio presso il centro diurno di Via delle Orfane 15. L’obiettivo di questa giornata è stato quello di offrire spunti di riflessione emersi dalle diverse realtà che si occupano direttamente del tema, dar vita a nuove proposte e suggerimenti per poter contrastare le criticità vissute quotidianamente da coloro che si interfacciano con il fenomeno e trovare una possibile strada comune che ci porti ad abbattere gli ostacoli istituzionali e sociali incontrati da chi vive la condizione di ritiro. Il fenomeno del ritiro sociale sta ricevendo sempre più attenzione mediatica e la narrazione comune che ne viene fatta alimenta la convinzione che sia conseguenza diretta della pandemia. L’esperienza di chi opera quotidianamente sul tema e i vissuti delle persone che si trovano in tale condizione ci dicono invece che il ritiro sociale è preesistente al COVID-19 e che tale evento può tutt’al più rappresentare il motivo della slatentizzazione del fenomeno e della massiccia diffusione dello stesso. E’un fenomeno complesso, pieno di sfaccettature comuni a molti adolescenti ma anche di specificità emergenti dalle storie dei singoli. Non si presta a letture unilaterali di singoli saperi disciplinari e professionalità, mentre ne invoca la lucida presenza nei plurali luoghi di co-progettazione.”
Leopoldo Grosso - Gruppo Abele, Torino
Di seguito cercherò di proporvi dei pensieri che vogliono aprire riflessioni strutturali e di senso circa il fenomeno del ritiro sociale e la complessità di come il lavoro con persone che hanno chiuso le relazioni con il mondo necessita di rivedere prassi, modelli, norme, formazioni e sostenibilità.
HIKIKOMORI - Parlando di ritiro sociale partendo dall’etichetta, troviamo diverse definizioni associate al fenomeno. Quella più conosciuta risponde al termine giapponese hikikomori, ovvero ”stare in disparte”. La parola viene utilizzata per descrivere chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi che possono variare da mesi ad anni. Gli hikikomori sono per lo più adolescenti che tendono a rinchiudersi nella propria abitazione o camera da letto, senza avere alcun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, spesso nemmeno con i propri genitori.
IN ITALIA - Le proiezioni ci parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi e ragazze a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo. Clicca qui per approfondire
A volte l’etichetta del ritiro sociale ci porta erroneamente a pensare a ragazzi e ragazze chiusi in camera che usano notte e giorno piattaforme digitali e sono connessi ad altre migliaia di persone ed esperienze virtuali. Non sempre ci troviamo davanti a questo quadro: talvolta si tratta di persone con gravi carenze relazionali e il loro ritiro significa essere chiusi a tutto. C’è una forte differenza tra ragazzi che hanno una vita totalmente dedicata ad attività nel virtuale e giovani che sono invece “passivi” persino nei mondi virtuali.
Durante il seminario, emerge un confronto sul funzionamento cognitivo degli adolescenti in ritiro sociale, affrontiamo l’argomento attraverso testimonianze molto complesse riportate dai colleghi, di ragazzi e ragazze vittime di maltrattamento, di esordi patologici in adolescenza, di povertà educative e comportamenti a rischio. Tutte queste storie, nonostante siano tra loro estremamente diverse, trovano dei punti comuni, ovvero la scelta o la “non scelta” dell’adolescente di interrompere il legame con il mondo reale, nascondendosi letteralmente dietro ad una porta.
Prendiamo allora in considerazione il fenomeno più nel dettaglio, analizzando dinamiche complesse non solo legate al virtuale - che resta comunque un mondo che deve rivedere i nostri modelli di intervento sociali e sanitari.
Per rispondere al quesito, ripropongo quanto emerso dal lavoro di gruppo nel seminario, basato sull’analisi di quattro contesti:
Relazione educativa - Significa ripensare il futuro. Ripensare la relazione famigliare e le altre persone (amici, docenti, educatori, specialisti). Lavorare con le relazioni significa operare in un’ottica progressiva di moltiplicazione dei legami, incentrando la progettualità con un ‘importante lavoro di rete. Relazione educativa significa anche saper stare e tollerare situazioni che sembrano immobili, con tempi lentissimi. Questi sono setting che i ragazzi hanno scelto o “non scelto” per il proprio ritiro. Costringersi all’attesa riempiendo dei vuoti che vengono inevitabilmente innescati da questa dinamica, dedicarsi ad attività in cui non accade nulla, proprio per non rischiare di distruggere l’autoprotezione e adattamento creatosi. Diversamente, la fretta, i tempi definiti o le scadenze, sono percepite come minaccia di tale protezione.
Scuola - Cosa vorremmo dalla scuola? Vorremmo che fosse in grado di leggere le situazioni complesse di ritiro, che sapesse collaborare con le famiglie e gli operatori sociali e sanitari esterni per agevolare la possibilità di colmare un vuoto normativo. Non vorremmo ricercare solo il singolo o singola docente per delegare: è necessario ragionare di sistema, domandandosi che ruolo hanno le certificazioni e come funzionano realmente nella scuola; vorremmo si potesse fare prevenzione per poter cogliere dei segnali legati al fenomeno.
Famiglie - Sono sia risorsa, che ambito d’intervento. Spesso, nelle storie di ritiro sociale, la famiglia è fonte di malessere e, in casi accennati prima, anche di maltrattamento e violenza. Un limite - causato dalla mancanza di attenzione istituzionale e politica - sono le risorse economiche: dover sostenere privatamente dei percorsi con supporto di specialisti sanitari e sociali e la presa in carico multidisciplinare, costituiscono costi davvero elevati per una famiglia media.
Reti sociali - Vi è la necessità di creare una forma di comunicazione e di co-progettazione che sia il più possibile circolare. Un “circular hub” permette di innescare prassi efficaci, di costruire supporti e chiarire funzioni e ruoli (ad esempio “chi fa cosa” e “cosa si fa insieme”). Occorre fare prevenzione con ogni mezzo possibile partendo da campagne informative. Bisogna costruire modelli operativi in grado di colmare vuoti sia su scala nazionale e regionale, sia nei singoli territori.
Per promuovere un cambiamento di modelli d’intervento servono fondi e normative, il sistema sociale e sanitario dovrà inevitabilmente farsi carico del fenomeno in crescita. Attuare cambiamenti prestando attenzione ai dettagli mentre si progetta un nuovo sistema.
“Essere adolescenti oggi è diverso, lo sappiamo ma non riusciamo a spiegarlo. Ciò fa riflettere e sembra connettersi a società che non riescono a dare uno sguardo sul futuro. Bisogna reagire come osservatori e ricercatori, sostenendo ricerche-azioni sulle adolescenze e le connessioni generazionali con il mondo di oggi, le società di oggi, post pandemia.”
Animazione Sociale
Siamo d’accordo che ritirarsi socialmente non è una patologia o categoria psichiatrica, ma uno dei rischi in agguato è proprio quello di patologizzare il fenomeno.
Certificazione e diagnosi sono “armi a doppio taglio”: bisogna essere responsabili e attenti nel maneggiare questi strumenti. Sicuramente rappresentano un aiuto per tracciare il fenomeno, ma non vanno confusi sintomi con cause patologiche. Ci soffermiamo un attimo sul macro-dettaglio di “certificazione/diagnosi psichiatrica” ponendoci un paio di domande.
Ci è utile trovare una diagnosi per il ritiro sociale? E’ patologia o problematica sociale che può rientrare come comorbidità nella definizione dei manuali? Tutti noi operatori avremmo bisogno di strumenti e valutazioni più specifiche rispetto il fenomeno, ma non possiamo permetterci di etichettare il ritiro sociale a livello sanitario. Innanzitutto è fondamentai prendere in considerazione la multifattorialità del fenomeno: come abbiamo detto, il ritiro sociale può variare da temporaneo a prolungato e può essere scatenato anche da componenti socio-relazionali e non esclusivamente una propensione biologica e psichica. Pertanto, forse, sarebbe opportuno avere prudenza nel non rendere causali patologie e fenomeno, anche se evidentemente sono espressioni comuni delle persone che si ritirano.
E’ necessario coinvolgere il sanitario pubblico per ragionare sui significativi vuoti che si verificano all’interno di questa tematica: ad oggi il dibattito è aperto e gruppi di lavoro di neuropsichiatri e psichiatri sono in costante confronto per concordare un aggiornamento dei manuali diagnostici, rispettando le valutazioni che vi ho riportato in questo articolo. L’introduzione di nuovi codici diagnostici chiari permetterebbe il tracciamento e il monitoraggio del ritiro sociale e garantirebbe maggior chiarezza nella delicata fase di passaggio tra NPI e psichiatria per adulti, spesso problematica. Un passo avanti è stato fatto anche in Parlamento, nella seduta del 16 ottobre 2023, in cui la Camera dei deputati ha chiesto al governo di discutere 13 punti in materia di dispersione scolastica e ritiro sociale.
Per procedere ad un’analisi di contesto più estesa ci soffermiamo un attimo sulle leggi regionali, nazionali e territoriali:
Emilia Romagna - L.R. n. 14/2008 e n. 590/2013 norma i fondi per contrastare il Ritiro Sociale
Lombardia - L.R. n. 20/2023 risponde al Co.RE.Com. investendo fondi di ricerca per il fenomeno del ritiro sociale, anche la regione Lazio decreta di rispondere con azioni di ricerca rispondendo alla stessa richiesta.
Piemonte - con legge regionale n. 24-7727/2018 coinvolge scuole nella sensibilizzazione sul tema ritiro sociale coinvolgendo direttamente l’ufficio scolastico regionale e pensando ad un lavoro integrato.
In sintesi, quasi un vuoto istituzionale fatta eccezione per l’Emilia Romagna, regione sempre avanguardista sul campo. Uno dei “cons” riguarda gli operatori specialistici e gli operatori del terzo settore: essi non hanno accesso ad alcuna piattaforma che possa essere un luogo di scambio e confronto ufficiale.
Il tempo investito nel dibattere il ruolo della scuola e dei suoi operatori ha portato inoltre riflessioni sul metodo di cambiamento dei modelli scolastici, in modo che siano essi in grado di fare prevenzione:
la scuola andrebbe sostenuta, avviando dei sistemi di sperimentazione che includano una formazione, la presenza di operatori dentro agli istituti scolastici (psicologi, pedagogici ed educatori) e la riorganizzazione degli ambienti ripensando le classi per avere setting adeguati a persone che non riescono più stare in una dimensione collettiva.
Esistono sperimentazioni che hanno visto coinvolte scuole, NPI ed ETS. Modificando spazi, si da la possibilità agli alunni di partecipare a laboratori extra didattici settimanali, durante tutto l’anno scolastico. Questo fornisce anche alle persone che faticano a mantenere una frequenza, la possibilità di sentirsi riconosciute e coinvolte.
Dopo questa esperienza di scambio, possiamo definirci connessi ad una rete, anche se non istituzionale, che può lavorare scambiandosi contenuti, modelli ed esperienze in grado di connetterci come operatori l’uno con il lavoro dell’altro. Con questo articolo intendo anche divulgare l’invito dei colleghi di Animazione Sociale: scrivere delle proprie esperienze, pubblicare e rinnovare la letteratura che racconta del ritiro sociale e co-costruire la programmazione del seminario/convegno sulle adolescenze che dovrebbe essere organizzato a giugno 2024.
Tornando a quelle giornate di seminario, il confronto ha aperto temi molto importanti, fra cui capire quanto siamo nel campo dell’automedicazione, il bisogno partire dal “cosa non fare”, evitare la patologizzazione e il ricorso troppo frettoloso alla 104, promuovere e far funzionare i BES senza orientarsi subito verso i PEI con 104, il riconoscimento del lavoro di comunità (dalla scuola agli spazi di cura extrascolastici), valorizzazione del ruolo del terzo settore, individuazione precoce attraverso equipe multidisciplinari dentro la scuola in grado di valutare e tracciare.
Ne siamo usciti con l’idea di impostare e riconoscerci momenti più frequenti di scambio dedicati agli operatori sociali e sanitari. Momenti importanti per mettere insieme idee, modelli operativi e teorici: una sorta di ricerca-azione condivisa, che unisca territori e faccia incontrare la complessità delle differenze.
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